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Qualche tempo fa, al tempo della prima discussione su questa legge, avevo espresso tutti i miei dubbî sulla questione, senza però dare una risposta definitiva su come risolvessi la complessità dell’arcano – Francesco, al contrario e complementarmente, aveva portato a compimento quel ragionamento. Tuttavia, se mi avessero domandato di dover tracciare una linea, costretto dalla necessità di un voto, probabilmente mi sarei detto favorevole alla legge che vietasse il burqa. Ho cambiato idea.
Nel post precedente a questo spiegavo perché trovassi avventato, ed efferato, il paragone fra velinismo e burqa, ma avevo anche aggiunto – spiegando troppo sommariamente – che considero la legge francese sbagliata: alcuni, fra cui qui nei commenti, me ne hanno chiesto conto; mi è sembrato un partecipe tu quoque!. Io che scrivo in ogni tribuna che i diritti delle donne e degli omosessuali nel mondo, e soprattutto i diritti delle donne nell’Islam sono la vera emergenza mondiale, mi dico contrario a una legge che vieta il Burqa, uno dei maggiori simboli di oppressione di una donna. Provo a dare un respiro più ampio al mio pensiero.
Conservo alcune delle considerazioni, anche forti, che facevo sul significato del burqa:
Innanzitutto credo che bisogni partire da due presupposti: 1) le motivazioni di questo disegno di legge sono orribili 2) Il Burqa è male. (…) Sul secondo punto c’è poco da aggiungere: chiunque pensi che esistano, in qualche parte del mondo, delle persone che – geneticamente (e quindi non è un concetto inoculato loro) – nascono con la concezione che il corpo nel quale sono nate è uno strumento di peccato è precisamente un razzista. Chiunque consideri giusto che il controllo sessuale dell’uomo sia situato sul corpo della donna, come per la ragazza stuprata perché va in giro in minigonna, è un fascista.
Condivido, naturalmente – e come tutti –, l’introduzione e l’asprezza delle pene per chi costringa una donna a indossare il burqa, e tutti gli aspetti positivi che riconoscevo a questo tipo di normativa:
Sicuramente la cosa più importante non è il fatto in sé, non è quella manciata di donne che – non potendo mettere il Burqa o il Niqab – usciranno un poco più scoperte, bensì il messaggio che si manda. I messaggi sono importantissimi e significativi, e sono sempre troppo sottovalutati. In questo momento, in ogni parte del mondo, ci sono delle persone che stanno combattendo la loro battaglia contro il burqa, una battaglia con sé stesse e con i loro maschi-padroni. Sapere che c’è qualcuno che sta dalla parte giusta è fontamentale, e infonde forza. Tutte coloro che ne sono uscite non smettono mai di raccontare quanto sono importanti questi segnali, così come non smettono mai di rimproverare gli atteggiamenti troppo accomodanti su cui ogni tanto ci impigriamo.
Naturalmente, qui, non entro nel merito delle questioni di sicurezza: se ci sono motivi per una legge che impone il viso scoperto è giusto che questa vada rispettata, e non ho un’opinione precisa in merito, ma è chiaro che una legge di quel tipo sarebbe surrettizia rispetto al fine di eliminare il burqa.
Francesco era giunto a queste conclusioni scrivendo:
(i rischi della legge) hanno molto a che fare con la natura prescrittiva e forzata del provvedimento, e sarebbero molto ridimensionati se la politica e i governi condannassero pubblicamente l’utilizzo del burqa, senza ipocrisie terzomondiste o razziste, ma fermandosi un passo prima dal renderlo illegale, e si impegnassero invece a testa bassa nella lotta al tradizionalismo, ai pregiudizi, alla violenza, alla sottomissione e alla segregazione delle donne.
Mi è tornato in mente oggi, quando provavo a spiegare le mie motivazioni a fblo che articolava la sua approvazione di questa legge in opposizione all’idea che “ognuno rispetti le proprie tradizioni”. Ci ho riflettuto, e penso che anche in questo caso non si possa venir meno all’osservanza del vero spartiacque fra ciò che lo Stato può impedire, il male agli altri (e perciò è giusto vietare il burqa fino a 18 anni), e ciò che non può impedire, il male a sé stessi.
Naturalmente è diverso lottare, come chiunque mi legga farebbe, per combattere quell’usanza e invece legiferare che sia vietato metterla in pratica. Uno Stato liberale ha il diritto, e – rispetto a casi orrendi come il burqa e le mutilazioni genitali femminili – anche il dovere, di disincentivare nei modi più forti queste pratiche, ma non valicando i limiti dell’autodeterminazione della persona. Come dicevamo, uno Stato liberale è liberale anche se permette le cose più stupide (come bruciare il Corano) o dannose per sé stessi (come indossare il burqa).
Dopodiché, armiamoci e bagagli per cercare tutti insieme di convincere più donne possibile – e, è particolarmente importante, tutelarle e metterle nella condizione di poterlo fare – a dismettere quello stumento di oppressione.