San Valentino, in Palestina

Marco mi segnala questa foto: è la “foto del giorno” del Telegraph. A Nablus, la città più fondamentalista sia politicamente che religiosamente, una donna molto velata espone lingerie peccaminosa per festeggiare San Valentino.

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Quando vedo queste contraddizioni sono contento, perché la contraddizione è il primo antidoto al fondamentalismo: come quel mio amico che non beve, però una volta che ha bevuto un goccio, si ubriaca. Perché una volta che hai peccato… tanto vale farlo per bene.

Il paradosso israeliano

Tutte le spiegazioni sommarie sul conflitto arabo-israeliano che trovo in giro su internet, specie sui siti italiani, mi sembrano poco accurate e semplicistiche. Un po’ perché spiegare questo conflitto in poche parole è difficile, un po’ perché ognuno coltiva i propri pregiudizî. Così mi sono stupito di come, in poche parole, quelli di Limes abbiano fatto un ritratto semplice e sensato – se qualcuno, completamente digiuno di qualunque nozione sulla questione, vi chiede: «non parlarmi della storia e del passato, dimmi quello che succede ora, in poche parole», potete usare le parole del video di limes che ricopio qui:

Israele non vuole annettersi i territori palestinesi occupati dal 1967 perché un Grande Israele dal fiume al mare avrebbe presto una maggioranza di popolazione araba e perderebbe il suo carattere ebraico o dovrebbe dar vita a una sorta di regime di apartheid.

D’altro canto non vuole consentire la realizzazione
di un vero Stato palestinese perché questo rappresenterebbe l’inizio di duri scontri con i coloni israeliani con il rischio di una guerra civile interna in un paese sempre meno coeso nelle sue varie componenti.

Allo stesso tempo il controllo militare della Cisgiordania
e soprattutto della sovraffollata Striscia di Gaza è diventato impossibile per il continuo logoramento delle forze, ma il ritiro e l’abbandono di questi territori consente ai gruppi palestinesi di colpire lo stesso il territorio israeliano, con i razzi o con i kamikaze.

Il risultato per ora è che per i leader israeliani
la soluzione più facile è mantenere due ghetti palestinesi, Cisgiordania e Gaza, ai propri confini con periodiche guerre limitate o operazioni di polizia militare giustificate dall’assenza di soluzioni strategiche. E’ il caso della recente guerra di Gaza.

Dal canto suo il fronte palestinese è iperframmentato e impegnato soprattutto in una guerra interna tra fazioni.

Exit poll

Il primo, pericolante, exit poll dà Livni in vantaggio. Cioè bene. Nel senso che, come avevo letto da qualche parte, Livni ha un (solo ma grande) vantaggio: non è Netanyahu.

Bignami sulle elezioni in Israele

Domani si vota, chi vuole buone notizie può smettere di leggere qui.

Si vota con un proporzionale duro e puro, alleanze formate dopo, e sbarramento al 2 %. A spoglio avvenuto, il presidente Shimon Peres darà mandato al leader di maggioranza relativa – e quindi, a meno di colpi di teatro, futuro primo ministro – di formare una coalizione che superi i 60 seggi entro un mese (che può diventare un mese e mezzo).

Quindi, non soltanto ci sono una miriade di partitini che sperano di raggiungere lo sbarramento (come il Nostro), ma come consueto in Israele ci sono un sacco di partiti medio-piccoli – ma sicuramente sopra al quorum – che si spartiscono percentuali relativamente basse. Per dire, nelle elezioni del 2006 soltanto due partiti – quelli che poi guidarono il governo – ricevettero più di 300.000 voti, Kadima e Labour.

I leader di questi due partiti, e quindi candidati presidente, sono i principali autori della guerra a Gaza, rispettivamente il primo ministro designato Tzipi Livni (Kadima) e il ministro della difesa Ehud Barak (Labour). Se vi aspettereste che questi siano i partiti più di destra, rimarrete delusi: dei primi cinque partiti sono i più a sinistra, che qui significa i più pacifisti. L’altra brutta notizia è che sono rispettivamente secondo e quarto nei sondaggi.

Fino a un mese fa sembrava certa la vittoria del redivivo Benjamin Netanyahu che, convinto che il suo passato (e presente) di falco gli coprisse le spalle sul campo della sicurezza, ha impostato una campagna elettorale fondata principalmente sull’economia – è più o meno universalmente riconosciuto, anche dai suoi nemici, che sia stato un ottimo ministro dell’economia. Netanyahu sembra però avere fatto male i conti (!), perché ultimamente il suo vantaggio nei confronti di Kadima si è assottigliato enormemente, e gli ultimi sondaggi pubblicati dànno Kadima a soli due punti dal Likud. Se questa sembra una buona notizia, preparatevi a essere delusi anche qui: l’ultima emorragìa di voti del Likud pare essere stata a favore dell’estrema destra di Yisrael Beiteinu, un partito che quattro anni fa non conosceva nessuno.

Storicamente votato soltanto dagli immigrati russi, e con una collocazione politica un po’ strana – pur essendo chiaramente più a destra del Likud, ha fatto parte per un breve periodo dell’ultimo governo, salvo poi uscirne quando sono stati intavolati gli ennesimi trattati di pace con l’ANP – sembra essere solidamente la terza forza, con il Labour di Barak quarto e al minimo storico. Il leader del partito, Avigdor Lieberman, una specie di Santanché israeliano, ma maschio e con un passato da buttafuori di discoteche, è sembrato affermarsi come nuovo campione dell’ultra destra israeliana, con una campagna elettorale che aggressiva è dir poco: la cosa che ha fatto più notizia è stata la proposta di togliere la cittadinanza israeliana agli arabi-israeliani che non giurino fedeltà allo Stato. Tutti dicono che sarà lui l’ago della bilancia.

Meritano una citazione lo Shas, il partito degli ultra-religiosi, che propone politiche particolari sullo stato sociale e la famiglia (un po’ come le destre sociali in Europa), ma che per quel che riguarda il conflitto è su posizioni fra l’estrema destra e il razzismo deliberato. Dall’altra parte dello schieramento politico, Meretz, che è sempre stato il partito dei pacifisti e promotore di iniziative come quelle di Ginevra, ha dato il proprio silenzio assenso all’intervento a Gaza, e soltanto ora muove minute critiche sulla condotta di guerra: come dice l’articolo citato sotto, la ragione d’esistere di un partito come questo è l’assunzione di posizioni ferme e coraggiose. In assenza di ciò perché un elettore non dovrebbe votare Labour?

Infine la parte araba. Di solito le percentuali d’affluenza degli arabi-israeliani sono molto basse: si può sperare che un’alta affluenza cambi qualcosa? No, anche qui. Non solo le posizioni dei partiti arabi sono spesso talmente poco concilianti da non permettere una qualunque trattativa, ma sulle questioni civili – come i diritti delle donne e degli omosessuali – hanno posizioni molto più affini a quelle della destra religiosa che a quelle della sinistra pacifista. Per la stessa ragione è molto difficile immaginare un grande numero di arabi che votino a sinistra.

Intanto il ministro degli esteri palestinese ha detto che Hamas sta continuando a lanciare razzi su Israele per cercare di impedire la vittoria di un partito che promuova dei colloqui i pace: ha ragione, ma tutto fa pensare che domani – con o senza il contributo di Hamas – la pace sarà più lontana.

Qualche link (in inglese) per approfondire:

Ritratto di Liberman (Times)
Le reazioni di Fatah e Hamas (Ha’aretz)
Analisi preelettorale (Jazeera)
Che senso ha votare Meretz? (Ha’aretz)
Concisa panoramica sui quattro candidati (Telegraph)

Dove seguire la diretta di domani e dopodomani

Io sarò lì per te

Non ho intenzione di tornare a casa tua da soldato. Ma sarò lieto di sedere con te, da ospite, sul tuo bellissimo balcone, e bere un tè, insaporito con la salvia del tuo giardino.

L’esperienza qui mi persuade che quelli che la pensano come Yshai Goldplam, in Israele, non siano la maggioranza; ma la lettera che questo riservista israeliano ha scritto al palestinese di cui ha occupato la casa durante la guerra a Gaza è molto bella.

Oggi c’è il sole

Oggi si vota in Iraq: comunque la si pensi sulla quella guerra che ha portato tanti morti e queste elezioni (io continuo a pensarla più o meno così) è un bel giorno per l’Iraq e per il mondo. Per tutti coloro che rifiutano di pensare che gli arabi sono inferiori e i mussulmani “non sono pronti per la democrazia”, oggi c’è il sole.

Oltre lo specchio

David Grossman è una persona con cui è difficilissimo, quasi impossibile, essere in disaccordo. Anche se parti dal pensare di avere ragione, e lui torto, alla fine riesce sempre a convincerti del contrario.
Ha scritto un paio di giorni fa un articolo per Haaretz, poi tradotto da Repubblica (il titolo italiano è del tutto inadatto), con il quale sono d’accordo su ogni parola:

Parlare, perché ciò che è avvenuto nelle ultime settimane nella striscia di Gaza ci [agli israeliani NdDS] pone davanti a uno specchio nel quale si riflette un volto per il quale, se lo guardassimo dall’esterno o se fosse quello di un altro popolo, proveremmo orrore.

C’è un altro articolo, di Martin Bright su New Statesman, che ben fotografa quello che penso io, specialmente in questa frase:

But even if you accept, as I do, that Hamas represents a strain of totalitarian Islamist thought akin to fascism, what happened in Gaza cannot be justified. Even if you accept, as I do, that Hamas must be defeated as a military force, this was not the way to go about it. Even if you accept, as I do, that Hamas used women and children as human shields, this does not mean that the terrorist organisation[*] should take the entire blame when Israeli weapons kill innocents.

* Pure io pensavo fosse un errore, invece in Inghilterra – ho imparatoanche se censurato da alcune grammatiche si può scrivere con la “s”.

Democrazia /2

Sì, la Corte Suprema israeliana – all’unanimità – ha revocato il divieto di partecipare alle elezioni per i due partiti arabi: qui si era fatto sarcasmo sulla precedente decisione. Gente che – evidentemente – ne capisce più di me, aveva previsto che il divieto non sarebbe mai sopravvissuto al giudizio della Corte Suprema: bisogna dargliene atto, a lui, e soprattutto alla democrazia.