Un aeroporto in mare

Molte volte mi sono trovato a spiegare l’assurdità della situazione attuale, fra occupazione e non occupazione, Palestina che c’è e Palestina che non c’è, dove possono andare i palestinesi, dove possono andare gli israeliani e dove nessuno dei due. E la verità, quella più semplice da spiegare, è che a Oslo ’94-’96 c’era una vera speranza di pace, ci furono delle concessioni, e degli accordi. E degli impegni. Quegli impegni dovevano essere rispettati, e nessuno li rispettò (per la precisione  i palestinesi rispettarono lo 0,00% e gli israeliani, forse, lo 001%), cosicché quella situazione che doveva essere provvisoria, e trasferire – nei successivi 20 anni – via via nuovi territorî si è cristallizzata, e l’attuale Autorità Nazionale Palestinese, sembra una sorta di arcipelago di isole. Certo, mai avrei pensato che qualcuno la rappresentasse per davvero così:

palestina

p.s. Quell’aeroporto, in mezzo al mare come da titolo, è quello (israeliano, ma su territorio palestinese) di Atarot. Sarebbe l’aeroporto di Gerusalemme, ma è chiuso da anni, perché nel raggio dei potenziali missili palestinesi.

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Un ritocchino

Chi dice che gli ebrei ortodossi siano rimasti al paleolitico? Sanno addirittura usare photoshop!

Visto che pensano non sia il caso riprodurre immagini di donne, per fortuna loro soltanto due nel nuovo governo israeliano, hanno pensato bene di espungerle dalla foto di gruppo:

MIDEAST ISRAEL MISSING WOMEN

Non ci credo

Oggi ho parlato con una, autodefinitasi femminista, che ha detto che in Afghanistan si stava meglio con i talibani. Femminista.

Ieri il mio bastone s’è trasformato in un serpente

Ieri mi è capitato di discutere con amici di buona volontà che, a precisa questione, obiettavano che il problema non fosse l’Islam, ma le condizioni sociali, economiche, in cui noi (sarebbe l’Occidente) abbiamo condotto queste società.
Basta guardare al mondo, a come in Arabia Saudita (dove non ha mai messo piede un soldato occidentale – anzi, non esiste neanche il visto turistico!) le donne vivano certamente peggio che in Palestina, dove un’occupazione dura da 40 anni, per estinguere questo malinteso senso di colpa.

Ma io sono convinto che il problema sia anche più grosso, che ci sia un buonismo, una coazione alla sospensione del giudizio, un tarlo che erode la coscienza dei benintenzionati (e lo sento anche io mentre scrivo queste cose) nel criticare l’Islam. Perché non bisognerebbe. Perché loro, sono gli altri. E invece dovremmo smetterla di pensare che siano loro, e cominciare a pensare che la nazionalità è una convenzione, e che le persone che vivono in quelle società – donne, bambini, omosessuali – non siano antropologicamente diversi da noi, e che meritino gli stessi diritti che abbiamo “noi”.

Il problema è l’Islam. Se è vero che esistono tantissimi mussulmani moderati, e che questi siano la maggioranza, è vero che in una discussione di idee, fra un moderato e un fondamentalista, ha ragione il fondamentalista: perché i testi sacri, il Corano e gli Hadith, danno ragione ai fondamentalisti.

Nel Corano è scritto che gli atei vanno uccisi, che non si possono avere non mussulmani come amici. Tante persone in Palestina, nonostante ciò – spesso ignorandolo – mi sono amiche, lo sono veramente. Ma la strategia da imbonitori, quella di dire che – in fondo – l’Islam è una religione d’amore, è una strategia presuntuosa (perché non è vero, stiamo solo prendendo in giro il nostro interlocutore, dall’alto del nostro chissà cosa) e perdente, giacché nel momento in cui Said – mussulmano moderato, e gran brava persona – discute con l’amico salafita, quest’ultimo gli fa-un-mazzo-tanto: perché nel Corano c’è scritto quello che dice il salafita.

Questa grande strategia dell’inganno, non fa bene a Said.

E il problema è il nostro rispetto per le religioni, tutte. Nel momento in cui non rimarchiamo tutto il ridicolo che c’è nel credere che una donna ha partorito vergine, che un qualche Dio ha imposto di non mangiare il maiale o di circoncidersi, permettiamo una società peggiore, amante del buio, nemica della ragione. Qualunque cosa a cui conferiamo credibilità (proprio in senso letterale), solo in quanto parte di un sistema religioso, ma che non accetteremmo mai, come ragionamento pensato, al di fuori di quell’involucro rivestito di ingiudicabilità.

Ogni volta che incontriamo uno che crede che Maria fosse vergine, dobbiamo rapportarci come a uno che creda che Tarquinio il Superbo avesse l’utero: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che crede che Dio gli abbia imposto di non mangiare maiale dobbiamo rapportarci come a uno che non mangi le mele cotogne, non perché non gli piacciano ma perché gliel’ha detto Harry Potter: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?
Ogni volta che incontriamo uno che taglia una parte del pene di suo figlio, da bambino, dobbiamo rapportarci come a uno che taglia il lobo dell’orecchio al figlio neonato: è la stessa cosa, perché non la trattiamo allo stesso modo?

Prima le donne

Prima le donne – Diario della Palestina 184

C’è una cosa rabbiosa che mi porto dentro da un po’, e che non scrivo. Metà è perché voglio renderla il meno possibile uno sfogo e ci provo ora, e metà è perché ho paura della voracità con cui potrebbe essere recepita e strumentalizzata da chi riveste i soprusi israeliani con la solita, verissima ma insufficiente, affermazione che Israele sia il meno peggio.

Io mi porterò dietro, dalla Palestina, la convinzione feroce che l’emergenza – lì – sia la condizione delle donne, molto più che l’occupazione e il Muro. Di più, anche, delle piccole angherie quotidiane che lo Stato d’Israele impone agli arabi e ai palestinesi, soltanto come farabutto incentivo ad andarsene: in questi mesi ne ho elencate varie, che non hanno nulla, nulla, a che vedere con la sicurezza.

Ma sì, molto di più: perché l’espropriazione della propria persona imposta alle donne in Palestina (e ancora peggio negli altri paesi arabi), la deliberata rimozione d’ogni libertà individuale, la sostanziale verità – da nessuno negata – che il corpo di ogni donna è posseduto dagli uomini della propria famiglia e poi dal marito, l’indecente senso di colpa instillato in ogni bambina e poi ragazza solo per essere nata femmina, è veramente quanto di più atroce ci sia, in Palestina.

Così, ogni volta che sentirò qualcuno usare una parola per lamentare (giustamente) le ore che un uomo palestinese deve aspettare in fila a un check point, ne chiederò almeno cinque volte tante, di parole, per lamentare che una donna palestinese abbia un impedimento alla propria libertà tanto più efferato, e tanto più vicino: come si può protestare perché lui non può muoversi fino a Gerusalemme, senza protestare perché lei non può muovere un passo più in là della porta di casa?

Così, ogni volta che sentirò qualcuno usare una parola per lamentare (giustamente) l’espropriazione e la demolizione delle case dei palestinesi, ne chiedero almeno cinque volte tante, di parole, per lamentare l’impossibilità per una donna palestinese di averne una, di casa, e poterci andare a vivere da sola, pena l’uccisione da parte del padre o di un fratello.

Così, ogni volta che sentirò qualcuno usare una parola per lamentare (giustamente) l’impossibilità di un profugo palestinese di tornare a vivere nel luogo che più gli piace con le persone che ama, ne chiederò almeno cinque volte tante, di parole, per lamentare che una donna palestinese non possa decidere di amare e sposare chi vuole, perché lei non si appartiere – appartiene ai maschi della famiglia.

Così, ogni volta.

Vantaggi del non avere la carta di credito

Almeno questo non mi è potuto succedere:

nel duemilauno ero in Palestina e non mi funzionava la carta di credito ed allora ho telefonato alla mia banca e mi hanno detto non è che non le funziona più la carta di credito, la abbiamo bloccata noi perché ci siamo accorti che c’è qualcuno in Palestina che cerca di utilizzarla.

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Fare buchi

Dice che la prima volta che una qualche specie di computer, diciamo elaboratore, fu usato per scopi bellici risale a un aggeggione in mezzo a una stanza del Cairo, dove alcune donne della brigata ebraica punzonavano delle carte: era il piano per l’invasione della Sicilia.

Habemus Vatem

Son seimila anni che aspettano un profeta, e ora l’hanno trovato:

Un documentario della TV iraniana spiega che la diffusione dei film di Hollywood è parte integrante del complotto sionista. In particolare Harry Potter viene propagandato dagli ebrei per una ragione molto chiara: lo considerano il loro profeta.