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Tutti quelli che, in queste ore, stanno dicendo la sciocchezza che ciò che motiva gli attentati di Parigi è la politica e non la religione provino a rispondere a una semplice domanda: perché, in questa fase d’incertezza, siamo certi che tutti gli attentatori siano mussulmani? Attenzione: non sto dicendo che non esiste un terrorismo non mussulmano, non sono scemo, la storia ne è piena. Sto domandando: se la causa di questi attentati è politica e non religiosa perché sappiamo che tutti gli attentatori di questi attentati sono mussulmani? Saranno francesi, siriani, potrebbero essere marocchini, sauditi, belgi, tunisini, britannici, iracheni, italiani, giordani, kuwaitiani, spagnoli, libici, turchi (queste sono alcune delle nazionalità che hanno commesso attentati suicidi in Iraq e Siria) eppure siamo certi che siano tutti mussulmani.
E, all’inverso, quante persone conosciamo che sono contrarie – anche molto contrarie – alla politica estera dei governi americani o a quelle dei governi europei eppure siamo certi che non siano parte degli attentatori? Perché, nonostante sappiate la mia contrarietà all’occupazione israeliana in Palestina, sareste sconvolti a sapere che io sia andato in Francia a farmi esplodere al Bataclan? Eppure se il problema fosse “la politica”, dovremmo vedere migliaia e migliaia di nostri conoscenti – atei, cattocomunisti, testimoni di Geova, interisti – che anziché scrivere status contro i bombardamenti in Siria prendono una cintura esplosiva e vanno a farsi esplodere in un teatro parigino. La risposta è molto semplice: l’unico tratto comune che hanno tutti gli attentatori, che vengono da parti lontanissime e diversissime del mondo, da posti distantissimi dagli attuali teatri di guerra, da condizioni economiche e di istruzione di tutti i tipi, è l’essere mussulmani.
E domandatevi un’altra cosa: perché in qualunque altro crimine nessuno fa quest’odiosa e arrogante operazione di doppiaggio del pensiero che avviene in questi giorni? Ci sono migliaia e migliaia di persone che commettono queste atrocità e spiegano che è la religione a muoverli, fanno rivendicazioni che citano sure del Corano (questa volta erano 59:2 e 63:8, altre volte sono state molte altre), che tirano in ballo gli infedeli, la guerra a difesa dell’Islam, la blasfemia e l’apostasia; eppure alcuni di noi pensano di essere dei veggenti e di conoscere le reali intenzioni delle persone che organizzano e commettono queste violenze meglio delle persone stesse che le commettono. Loro dicono che a spingerli sia la loro fede, lo dicono in ogni occasione ed elaborano articolate – per quanto aberranti – spiegazioni teologiche, ma IO so certamente meglio di loro perché lo fanno.
Questa è un’operazione che non facciano mai, per altri crimini violenti: un gruppo di fascisti che prende a bastonate un immigrato e dice di farlo perché “i negri fanno schifo”, che ammazza un ebreo e dice di farlo perché è “uno sporco giudeo”, che picchia una coppia omosessuale e dice di farlo perché “è un frocio di merda”. Non esiste che qualcuno si metta a dire: in realtà dice di farlo per il Duce, ma io so meglio di lui che la ragione è la cattiva amministrazione locale o com’è finita la gara di appalti. E questo non vale solo per il fascismo, vale per qualunque ideologia: l’unico caso nel quale pensiamo di conoscere le motivazioni di determinate azioni meglio di chi le compie è quando è coinvolta la religione, in questi ultimi anni l’Islam.
È sempre utile rileggere quello che scriveva, ormai quasi dieci anni fa, Hassan Butt:
Quando ero ancora un membro della Rete Jihadista Britannica, una serie di gruppi terroristici semi-autonomi collegati da una sola ideologia, mi ricordo come celebravamo con delle grasse risate tutte le volte che in televisione le persone proclamavano che la sola causa degli atti di terrorismo islamici come l’Undici Settembre o le bombe a Madrid e Londra fosse la politica estera dell’Occidente. Biasimando il governo per le nostre azioni, coloro che parlavano delle “bombe di Blair” facevano propaganda per noi. E, ancora più importante, ci aiutavano a portare via l’attenzione da un esame critico di quello che era il vero motore della nostra violenza: la teologia islamica.
Questo non vuol dire, ovviamente, che è sufficiente essere mussulmani per commettere questi attentati – l’umanità, e così i mussulmani, è spesso meglio di quello che crediamo – ma che è necessario esserlo. Vuol dire che c’è qualcosa, nelle scritture o nella tradizione, nella sua rivelazione o nelle sue correnti interpretazioni, che causa (o che è parte necessaria in causa di) questi attentati. Quale sia questa parte, e quale sia il modo per fare sì che non ci sia più, è oggetto di un altro post, ben più lungo, e che per gran parte non sarei in grado di fare: ma il primo passo nel risolvere un problema è sempre riconoscere quel problema, mettere sul tavolo i dati e i fattori che lo compongono, chiamare le cose col proprio nome. Scrivere, in queste ore, “la religione non c’entra nulla” non è aiutare a risolvere il problema, è esserne parte.