Ivan Basso oggi torna a correre dopo più di due anni. Era uno che mi piaceva, Basso: semplice nell’unica delle tante accezioni in cui questa parola può essere un complimento. Quando in un Giro che avrebbe stravinto ebbe una congestione sullo Stelvio e perse tre quarti d’ora, invece di ritirarsi – come avrebbe fatto qualunque altro favorito – decise di rimanere e soffrire; a fine tappa gli chiesero «ma perché non sei salito sull’ammiraglia?», che vuoldire in macchina, tornare a casa; lui rispose «piuttosto salivo sull’ambulanza».
Certo, Ivan Basso non è mai stato uno di quei corridori che fanno Svissh, ma del resto quell’ultra-fenomeno di Pantani non m’è mai stato simpatico, i corridori che s’alzano sui pedali e volano via ti sembrano degli extra-terresti, Basso invece era uno quasi normale, di quelli la cui fatica potevi leggere ogni metro, soffriva ogni pedalata e si vedeva. Sapevi che avresti potuto fare un centesimo di quello che faceva lui in bici, ma lo faceva proprio-come-lo-fai-tu, anche se per lui era la Marmolada e per te il cavalcavia vicino casa. Quando gli dicevano «ma guardalo, non scatta mai a Armstrong» io pensavo sempre «Ivan, non preoccuparti, sei l’unico che riesce a stargli dietro a quello lì, lasciali stare: soffriamo insieme! Tu là sul Tourmalet, io qui in poltrona davanti alla tv!».
Ecco, Ivan, io volevo essere tuo amico. Però tu avresti dovuto collaborare, mica così.
No, non parlo di emotrasfusione. Di operazioni Porto, o dottori miei omonimi (eh sì, Fontana è l’aggettivo relativo di ‘fonte’). Non parlo di doping, insomma.
Non parlo nemmeno di quella volta che Rocco saltò la scuola per venire da te, invece che uscire con qualche ragazzina del liceo. Tu avevi l’udienza al CONI e dicevi ancora d’essere innocente, però un po’ le cose puzzavano, e allora nessuna squadra ti voleva. Così Rocco, che è uno che corre davvero in bici – mica come me che faccio solo i cavalcavia di cui sopra – era venuto a darti la maglia del suo gruppo sportivo e ti aveva detto «se nessuno ti vuole in squadra, beh io ti ci voglio». E tu sì, avevi sorriso, ma non l’avevi presa quella maglia (30° secondo nel video) da quel ragazzino diciottene con in mano il casco del motorino, e lo zaino pieno di libri inutili, quel giorno. Ti aveva detto io-ti-voglio-con-me-in-squadra, e aveva saltato la scuola per te: non ti costava nulla; ma vabbè, eri nervoso, teso, i giornalisti ti stavano per assaltare, te l’avrei perdonato.
E ti avrei perdonato pure Santiago. Avrei qualcosa da ridire anche su Domitilla – visto che tu sei il Terribile del ciclismo, lo zar, avrai pensato che un’imperatrice ci stesse bene – ma te l’abbono; però Santiago? Che è un nome da dare a un figlio? A ‘sto punto meglio San Sebastián!
Ma vabbè.
Ora però ti racconto io, quel giorno. Era il Giro del 2006, era la penultima tappa. Dopo il 2005, la rivincita – e il Giro l’avevi vinto: 6 minuti di vantaggio sul secondo, 10 e mezzo sul terzo, che era Gilberto Simoni. Una vecchia gloria, di quelli che ti dicono che ha vinto 2 Giri d’Italia, ma glielo leggi in faccia che vuoldire che n’ha persi almeno cinque o sei. Uno antipatico, molto antipatico. Talmente malsopportato da tutti che finiva per esserti simpatico.
Ed era lì, sull’ultima salita prima dell’arrivo, che – di nuovo – vi ritrovate in due, voi due. Ivan Basso e Gilberto Simoni. Un quadro stupendo, quasi un passaggio di testimone dal vecchio campione al nuovo, sul Mortirolo: c’era scenario più adatto? Lui è lì perché vuole vincere una tappa, tu ne hai già vinte due. E poi ha ancora qualche possibilità di scalzare dalla seconda piazza quel bufalo di Gutiérrez.
Arrivate in cima al Mortirolo, di sicuro Simoni ha fatto fatica a starti dietro, ma ha anche provato a darti una mano. Però in discesa le gerarchie si capovolgono, tu sei sempre stato un po’ scarso. Dici che non vale la pena di correre rischi, ma l’impressione è sempre che sia tu a correrne di più di rischi, anche se vai più piano degli altri. Poco male, i Giri non si vincono in discesa, sarà successo una volta in tutta la storia del ciclismo, fra la mezza di Magni e la mezza di Savoldelli. E poi tu, l’abbiamo detto, l’hai già vinto ‘sto Giro, chi te lo fa fare di correre rischi inutili per nulla? T’ha già fregato l’anno scorso, la sfortuna, vedi mai che anche stavolta… vai piano Ivan.
Però con te c’è Gilberto Simoni, e lui mica è uno scarso in discesa. Anzi, è uno bello forte. Poi lui sì che ha poco da perdere. Di podî ne ha già fatti sei al Giro d’Italia, questo sarebbe il settimo: lui vuole vincere la tappa. Avrai pensato “se le curve me le traccia lui non rischio tanto, e insieme poi si va meglio anche in pianura”, così gli hai detto «dài, facciamola insieme la discesa» che vuoldire «aspettami» che a sua volta, lo sai, vuoldire «andiamo insieme all’arrivo, e ti lascio vincere», come faceva Indurain. È logico. Sono queste, le bellissime regole non scritte della bici.
Però c’è un problema. Cioè un problema, una cosa bella, che in questo contesto diventa un po’ un problema: proprio ieri è nato tuo figlio, l’hai chiamato con un nome discutibile, ma in fondo sei un campione, te lo puoi permettere: per i compagni di classe sarà il-figlio-del-ciclista non quello-col-nome-strano. Ti sei portato la sua foto a spasso per 212 km, chissà dove, magari nelle mutande ché altrimenti ti scivolava via. Te la sei portata perché vuoi dedicargli una vittoria, e oggi ti senti bene. Già il più forte lo sei sempre, figurati oggi che c’è da festeggiare Santiago.
E cavolo, però hai promesso a quel Simoni, quello lì antipatico. Cioè, non proprio promesso, gli hai chiesto di aspettarti, di non provare a staccarti, di collaborare, che è un po’ la stessa cosa. Allora ti viene il colpo di genio. Sei un campione mica per nulla, mica hai solo le gambe, hai anche una gran testa e l’hai dimostrato altre volte. Così gli dici «senti Gilberto, c’è questa questione» lui intanto sbuffa, appena è finita la salita ha cominciato ad arrancare «mio figlio è nato proprio oggi, ci terrei tanto a vincere. Lo sai, è una cosa per tutta la mia famiglia, anche mia moglie, t’immagini quanto sarebbe contenta?». Lui, che non è mai stato uno simpatico – ma forse anche perché non ce la fa articolare tanto altro mentre pedala, stanco com’è, così evidentemente più di te – ti risponde soltanto «eh? e allora?», ma tu lo rassicuri «nono, Gilberto, non ti preoccupare, me lo ricordo che t’ho chiesto di aspettarmi, non lo farei mai…».
Sisì, lo so che lo sapete che; ma aspettate un attimo, seguite il racconto.
IB: «Senti, Gilberto, facciamo così, prendi ‘sta foto»
….
IB: «anzi, forse è meglio che te la metta io nella tasca qui dietro ché mi sa che non ce la fai neanche a staccare le mani dal manubrio»
GS: «uff, uff, sì?»
IB: «Qua, Gibo, te l’ho messa lì dietro accanto alla borraccia»
IB: «Ecco, ti dicevo, ora si va assieme, tu stammi dietro, ché sei piccoletto, e vedi che te lo copro io il vento, quasi come hai fatto tu in discesa. Così magari riesci pure a prendere qualche secondo a quello spagnolo dopato»
GS: «cavolo *pant* sì, *pant* Basso»
IB: «poi al traguardo mi fai questo favore, tagli tu per primo il traguardo, ma invece che come normale a braccia alzate, prendi la foto – ti ricordi, te l’ho messa lì dietro? – è quella di mio figlio, sì, prendi ‘sta foto e la alzi in aria, la fai vedere a tutti. Magari non gli fai vedere che sei così stanco, gli fai un gran bel sorriso, e io arrivo subito dietro di te…»
GS: «accidenti, sì, Ivan, certo che lo faccio, grazie»
IB: «ma no, figurati: anzi, se gliela dedichi tu è perfino più bello, pensa quando rivedrà il filmato da grande e saprà che papà era il più sportivo di tutti, e aveva tanti amici, perfino quel Gilberto Simoni che – te lo confesserò – non è che tu stia simpaticissimo a tutti, lo sai eh Gibo».
GS: «Umpf»
…
Telecronista: «Una bellissima pagina di ciclismo quest’oggi, sul traguardo dell’Aprica è Gilberto Simoni a tagliare il traguardo ghermendo (Bulbarelli potrebbe tranquillamente dirlo, NDR) la foto del neonato figlioletto di Ivan Basso, secondo quest’oggi dietro di lui, e Maglia Rosa di questo Giro d’Italia. La dedica di questa grande e bellissima vittoria va a Santiago Basso».
…
La storia racconta come finì la corsa. Invece.
Superata la discesa, dopo pochi chilometri di pianura, con una facilità disarmante Basso stacca Gilberto Simoni, che a fine gara e nei giorni seguenti gliene dirà di tutti e troppi colori.
Caro Ivan, quel giorno per me hai perso.