Fra le tante brutte notizie dall’Africa, l’alluvione del Burkina Faso, gli scontri in Gabon, la condanna per Lubna (è di oggi la parziale revoca), mi era sfuggita una bella, davvero bella, notizia: l’incriminazione di Francois Bazaramba, un pastore battista rwandese, per il massacro di 5000 Tutsi durante il genocidio di 15 anni fa da parte di un tribunale finlandese.
E raro che qui si gioisca perché una persona viene processata, e così stavolta. C’è però da rallegrarsi, e molto, per la riaffermazione di un principio sacrosanto che – è un augurio, il mio – dovrà essere esteso in ogni senso: l’aterritorialità dei crimini, faccia torbida dell’aterritorialità dei diritti. Il male non ha nazionalità, un crimine lontano ci deve riguardare quanto un crimine vicino.
La Finlandia ha rifiutato l’estradizione di Bazaramba, spiegando che in Rwanda l’ex pastore non avrebbe un processo giusto, e si è fatta carico della celebrazione del processo: la corte finlandese si trasferirà a Kigali per due settimane così da ascoltare i testimoni.
Viva le renne.